
Prima del 1991 non ero mai stato a camminare sulle montagne della Carnia, avevo sempre frequentato il Cividalese ed il Tarvisiano. Gianni, che sgambettava in montagna da prima di me, un giorno mi propose di andarci assieme e ci organizzammo. La partenza ricordava piuttosto un romanzo di Jerome K.Jerome, eravamo “Tre uomini sul Volaia, per non parlar del cane”. Fu così che raggiunsi il passo ed il Lago ghiacciato per la prima volta. Accendemmo la stufa nel ricovero invernale scaldando i panini per poi ridiscendere prima dl tramonto. Avevo rotto il “ghiaccio” con quell’area ed avevo scoperto una meta che sarebbe divenuta una delle mie preferite. Era il Marzo 1991.

Da quella volta sono tornato al Volaia diverse volte, in stagioni diverse, con persone diverse, in tre occasioni in “solitaria”. Con Gianni prendemmo il “vizio” di ripetere l’esperienza ogni primo sabato dell’anno, anche se durò solo alcuni anni, ed il primo sabato dell’anno cade sempre ad inizio gennaio e per uno come me che preferisce il freddo e la neve, al caldo ed alle spiagge era un toccasana, oltretutto in inverno non si rischia di incontrare serpenti. In quasi tutte le occasioni in cui sono salito ho sempre raggiunto almeno il passo, solo due volte ho dovuto rinunciare. La prima “rinuncia” proprio con Gianni, l’ultima volta che tentammo il “Ruggente Gennaio”. Era una splendida giornata di sole, ma con un fortissimo vento. Rinunciammo dopo essere arrivati al pianoro subito sotto al rifugio Lambertenghi, Il vento mi aveva sbilanciato due volte ed in una avevo dovuto fare un salto per non perdere l’equilibrio e ricadere in piedi e nella concitazione un rampone mi aveva tagliato una ghetta; alla pausa successiva Gianni si era tolto i guanti per pulire gli occhiali, ma poi non riusciva più a rimetterli mentre gli occhiali si erano appannati. A quel punto decidemmo che una pastasciutta al rifugio Tolazzi non sarebbe stata una sconfitta, bensì un premio! In un a seconda occasione rinunciai per mia “debolezza” fermandomi a quota 1650 senza neanche aver raggiunto la neve, era la primavera del 1998.
Continuando a salire più e più volte, conscio dei miei problemi di “vertigine” avevo scoperto che un punto in particolare mi metteva “agitazione” specialmente con ghiaccio, così un anno decisi ti togliermi il pensiero; ad inizio marzo un sabato mattina, partii da solo, quando fu necessario indossai i ramponi e proseguii; arrivato al mio “punto” le lastre di ghiaccio erano consistenti così evitando di guardare indietro continuai a carponi passando quei 20metri per poi rialzarmi e proseguire dicendomi, “bene, come sei salito dovrai anche scendere se non vorrai fermarti qui”! Raggiunto il pianoro sotto al rifugio mi fece i complimenti anche un Camoscio, era un bell’esemplare: arrivai a favore di vento, mi vide senza sentirmi, restammo fermi per alcuni intensi secondi a guardarci poi lui risalì mostrandomi la sua agilità con le quattro zampe motrici. Il panino al passo fu come sempre squisito. Al rientro non ebbi più alcun problema.

Nel 2011 il lunedì di Pasqua cadeva il 25 aprile, salimmo su neve compatta con una bella temperatura fresca. Assunta ha spesso buone ispirazioni ma non sempre idonee agli zaini ed escursioni, lo avevo notato a Bahktapur, in Nepal, 10 anni prima ed ancor prima la volta che nei pressi di Valdajer riusci ad apparecchiare un tronco d’albero con tovaglia per il picnic; quel giorno del 2011 riuscì a stipare una Colomba intera ed una piccola bottiglia di spumante, lo scoprii al termine della salita. Fu una bellissima giornata: nonostante la neve raggiungemmo il passo dove trovammo due ragazzi con i quali ci scambiammo gli auguri e la colomba, loro contraccambiarono condividendo il loro Uovo di Pasqua. Anche il lago fu stupito del nostro arrivo e ci salutò interrompendo il silenzio assordante del pomeriggio per emettere dapprima alcuni fiebili scricchiolii poi un tonfo secco che riecheggiò tra le montagne: la superficie del lago ghiacciato si era spezzata e si era leggermente abbassata.


Pasqua del 2019 fu ancora più particolare, ripetemmo la salita dopo 8 anni di assenza e di scarso allenamento. Anni addietro qualcuno mi disse: “si inizia ad invecchiare quando la mente va dove il corpo non arriva”, quel giorno la mia mente mi attese, impaziente, al Passo Volaia e lì la raggiunsi! Eravamo partiti con abbigliamento troppo pesante per le temperature che avevamo trovato, mi aspettavo il freddo degli anni prima, invece gli ultimi 300m di dislivello patimmo il caldo e la neve “marcia” nella quale sprofondavamo. Io aprivo il percorso, lei utilizzava le mie tracce. La gioia di aver raggiunto il Rifugio prima e di vedere il lago dopo, furono seconde solo al dolore che Assunta patì per i crampi che la presero a pochi metri dal passo costringendola a rinunciare. La discesa fu un supplizio per entrambi, io portavo anche il suo zaino, lei in alcuni casi scendeva scivolando nella neve, con i dolori alla gamba. 8 ore tra salita e discesa sono un tempo lunghissimo per quella escursione, ma al termine la cucina della nuova gestione del Rifugio Tolazzi ci consolò.
Le era rimasta la delusione per non aver raggiunto il lago, così ad inizio giugno decidemmo di ripetere l’esperienza, questa volta pernottando due notti al Rifugio Lambertenghi Romanin ed approfittando della notte senza luna per cercare di fare alcune fotografie notturne.
Lei si portò nuovamente i crampi che estrasse dallo zaino per indossarli a poche centinaia di metri dal rifugio, proprio mentre il cielo ci avvisava che in pochi minuti avremmo incontrato la pioggia. Il difficile non fu caricarmi anche del suo zaino oltre al mio con l’attrezzatura fotografica, la vera difficoltà fu convincerla a continuare e spronarla a tener duro, proseguendo, per arrivare prima del temporale. Entrammo al rifugio in tempo per ammirare l’inizio del temporale bevendo una bibita e degustando una torta prima di una doccia calda. Dopo cena, terminata la pioggia uscimmo in una notte senza luna ma con ancora qualche nuvola, il paesaggio notturno non fu particolarmente degno di nota, ma l’importante era esserci arrivati.
La mattina seguente approfittammo dell’aria limpida per aggirare il lago e risalire verso il Passo della Valentina sul lato austriaco, prima che un ulteriore temporale si scatenasse verso l’ora di pranzo costringendoci a rientrare e “gustare” un pranzo al WolaierseeHutte in attesa della schiarita, per poi rientrare al Lambertenghi. Il pomeriggio trascorse con alternanza tra nuvole e pioggia sino a quando, in serata uscii per verificare la situazione: il vento stava ripulendo il cielo dal quale iniziava a filtrare uno splendido raggio del sole al tramonto. Assunta mi vide rientrare, recuperare l’attrezzatura fotografica e partite per salire velocemente al passo mentre le nuvole si aprivano permettendo al sole di illuminare con i suoi ultimi raggi le pareti di roccia: avrei avuto solo pochi minuti per farlo. Quella luce, Il paesaggio notturno della sera prima, il silenzio che mi circondava…. mi trovai a ripensare al Nepal, ai Monaci ed alle persone che vi avevo incontrato, pensai anche al Perù…. mentre ammiravo quella luce ed emergevano piacevoli ricordi, mi tornarono in mente le poche parole scritte da Giuseppe Ungaretti che avevo studiato molti anni prima.




